Trama
Durante la guerra Corrado passa le notti in collina, ospitato in una casa abitata da due donne, per sfuggire ai bombardamenti che imperversano su Torino. Non è l’unico a evitare la città e una notte, vincendo il proprio carattere solitario, raggiunge un gruppo di persone che cantano fuori da un’osteria. Nel gruppo ritrova Cate, la donna con cui aveva avuto una storia otto anni prima, nel frattempo divenuta madre di un bambino chiamato da tutti Dino. Corrado torna spesso da loro, spinto del resto dal dubbio che il figlio di Cate sia anche suo. In compagnia del gruppo, di cui è divenuto un assiduo frequentatore, assiste all’evolversi delle sorti della guerra: l’arresto di Mussolini, l’armistizio, la guerra civile; sente la situazione diventare sempre più tesa e vede come tutti gli altri prendano decisioni attive nel merito. Ma il protagonista sceglie di non essere coinvolto in prima persona e, dopo l’arresto degli altri, si chiude sempre più in se stesso e si nasconde: prima rifugiandosi in un collegio gestito da preti, poi, dopo che anche Dino lo aveva lasciato per raggiungere i partigiani, dandosi alla fuga verso il proprio paese d’origine.
Personaggi
- Corrado: è un professore di scienze sulla quarantina, insegna a Torino, ma vive a pensione sulle colline circostanti. La sua indole è schiva e la guerra accentuerà una simile predisposizione alla solitudine: egli stesso dichiara come il cane Belbo sia il suo unico “confidente sincero”. Al suo carattere acuto e riflessivo non sfugge come rimanere in disparte sia già una connivenza con il fascismo. Ma egli, rifiutata la via dell’impegno diretto, si sforza di mettere da parte la propria logica e di non incedere nei rimpianti sulle numerose occasioni perdute.
- Cate: In collina Corrado ritrova Cate, la ragazza con cui aveva avuto una storia finita male otto anni prima. Il primo incontro con la donna avviene di notte ed è la sua voce “un poco scabra, provocante, brusca” e renderla immediatamente riconoscibile, nonostante il buio. Cate è una donna rigida e autonoma, a volte scontrosa. Lavora in ospedale e alleva da sola il figlio, nei cui confronti si dimostra affettuosa e protettiva. Si distingue dal protagonista, potendo contare su “uno scopo, volontà d’indignarsi, un’esistenza tutta piena e tutta sua”.
- Dino: Il figlio di Cate. In realtà si chiama Corrado e il protagonista non riuscirà a sapere se si tratti di suo figlio o meno. Il bambino anima la vita timorosa di Corrado con una ventata di fiducia ed entusiasmo, ma con lui, come con gli altri adulti, si innervosisce a ricevere troppe cure e attenzioni. Cresciuto all’ombra di ideali d’avventura e socialismo, vede la prospettiva di partecipare alla guerra come un gioco da affrontare con coraggio.
- Elvira e la madre: Corrado vive nella casa di due donne, Elvira e sua madre: se la vecchia è più silenziosa e calma, la figlia quarantenne viene descritta come una zitella agitata e lamentosa, forse segretamente innamorata del suo pensionante. La loro premura e curiosità, il loro desiderio di vedere la vita di Corrado limitata alle mura di casa loro, vengono avvertite dal protagonista come un pesante inconveniente. Quello che è certo, nonostante appaiano bigotte e a volte irritanti per le loro attenzioni eccessive, è la loro lealtà verso il protagonista.
- Fonso: All’osteria delle Fontane, oltre a Cate e al bambino, Corrado inizia a frequentare la compagnia che abitualmente si riunisce là. In particolare conosce Fonso, un fattorino diciottenne, cinico e burlone; è lui a introdurre nelle discussioni il tema della lotta di classe e finirà per unirsi ai partigiani. Altri assidui frequentatori sono NANDO e GIULIA, interessati di politica e disposti a fare la propria parte a costo di comportarsi con incoscienza.
Riassunto
A guerra ancora in corso il protagonista, di cui solo in un secondo momento scopriremo il nome, ripercorre gli avvenimenti susseguitisi nei mesi precedenti. Intorno a lui, la guerra. Una guerra inizialmente scandita da ritmi precisi e comportamenti altrettanto chiari: uno su tutti fare in modo di trovarsi al sicuro in occasione dei bombardamenti notturni. Così, chi non può abbandonare la città confida nei rifugi; chi, come Corrado, ne ha la possibilità, finito il lavoro sale in collina, dove il fragore delle incursioni aeree può ancora essere percepito come un evento lontano. Il protagonista cerca però di sottrarsi alla casa delle sue donne, madre e figlia di cui è ospite, e alla loro presenza capace di diventare opprimente; si aggira spesso nei frutteti o nei boschi, con la sola compagnia del cane Belbo. È così che una sera i due possono cogliere l’inusuale richiamo di voci ancora desiderose di cantare, nonostante i drammi circostanti, e seguire quei suoni fino alle Fontane. Là, vicino ad un’osteria, fra giovani disposti a dormire all’aria aperta pur di allontanarsi dalla città, avviene al buio l’incontro con Cate. Il riaffiorare della vergogna per come aveva chiuso la storia avuta con lei non impedisce a Corrado di ritornare alle Fontane, assecondando il desiderio di rivederla e finendo per legarsi alla compagnia che lassù si radunava.
Ad incuriosire Corrado in modo particolare è quel bambino che scopre portare il suo stesso nome: si ferma ad osservarlo, cercando indizi che possano confermare o smentire si tratti di suo figlio; non riesce mai a ottenere da Cate la verità. Alle passeggiate nei boschi con Dino si alternano le chiacchierate all’osteria, immancabilmente dedicate alle sorti della guerra e accompagnate dall’ascolto di radio Londra.
Emerge la “strana immunità” di Corrado alla realtà circostante, si tratta delle persone più vicine o dei grandi eventi bellici difficili da interpretare: a causare un simile atteggiamento, stando a quanto suggerisce Cate, è la sua paura costante, generalizzata, capace di mantenere intatta la sua solitudine anche quando è circondato da persone attive e vivaci. Nel frattempo lo scenario bellico si trasforma: l’arresto di Mussolini e l’armistizio provocano un “formicolio” e un’instabilità in precedenza sconosciuti. Corrado sente traballare il mondo su cui era basata tutta la sua vita, che pure gli incuteva terrore e rancore.
C’è chi capisce di dover prendere posizione davanti all’ambigua sorte della nazione: il collega di scuola Castelli, deciso di sospendere l’insegnamento per non dover prestare il proprio servizio professionale alla Repubblica di Salò, viene fatto prigioniero. I giovani abituati a ritrovarsi alle Fontane si organizzano per favorire la resistenza: partecipano a comizi in città, allargano la loro rete di conoscenze, in collina nascondono armi. Il clima di estrema provvisorietà e il movimento generale, però, non suscitano alcuna risposta attiva nel protagonista: «Sai tante cose, Corrado … e non fai niente per aiutarci» commenta seria Cate.
La prima ad essere imprigionata nel gruppo delle Fontane è Giulia, finché una retata nazista non cattura tutti coloro che si trovavano all’osteria. Non rimangono liberi che Corrado e il bambino.
Per il protagonista comincia una vera e propria fuga, destinata ad assumere tonalità sempre più disperate e solitarie. Trova rifugio, aiutato dalle due donne, presso un collegio gestito da preti. Là, pietrificato dal terrore all’idea di uscire, ritrova un sollievo momentaneo lavorando come assistente e interessandosi allo studio dei ragazzi più giovani.
La presenza di Dino continua a essere un’àncora verso l’esterno, una spinta per il protagonista a prendersi cura di qualcuno. Il bambino, infatti, inizialmente ospitato dalle due donne, bisognoso di protezione viene accolto nel collegio dove si trova Corrado, che può così vigilare su di lui senza dare nell’occhio. Ma quando, approfittando di un’assenza del protagonista, Dino scappa per raggiungere Fonso e i gruppi partigiani per cui nutriva una malcelata simpatia, anche l’ultimo legame del protagonista con la società scompare. Le pagine finali del romanzo sono occupate dal suo viaggio verso le Langhe, verso quel paese natio dove nessuno sarebbe mai andato a cercarlo e dove poteva contare sull’appoggio della famiglia. Una volta arrivato Corrado non ha altra possibilità che convivere alla meglio con la propria vigliaccheria, tristezza e solitudine, ignaro della sorte degli altri e incapace di trovare risposte per quanto era accaduto e stava ancora accadendo.
Analisi e Commento
Il romanzo La casa in collina può essere considerato un’espressione della lacerante tensione dell’autore verso la maturità, verso una propria realizzazione nella società di cui è osservatore. Infatti, se da un lato la realtà a lui circostante si esprime attraverso un indistinto e opprimente “cianciare stupirsi esclamare”, d’altra parte l’incontro con il gruppo delle Fontane sembra costituire uno stimolo per Corrado verso l’impegno, la presa di posizione, l’azione in prima persona.
Sono necessari Cate e Dino per smuovere la sostanziale indifferenza del protagonista. Le parole della donna ne dipingono il carattere incapace di dare confidenza, di prendersi a cuore qualcuno o qualcosa; ma nello stesso tempo la presenza di lei e del bambino lasciano presagire la possibilità di un’alternativa, di un’apertura.
Lo stesso protagonista, del resto, ammette la singolare incoscienza dei giorni passati a camminare nei boschi con Dino o a parlare di politica all’osteria; si rende conto di come la sua vita solitaria sia stata improvvisamente invasa da “un senso d’avventura”. Nonostante l’estrema tensione portata dalla guerra Corrado riesce a essere partecipe di un’allegria non ancora infranta.
Il paesaggio estivo si fa scenario accogliente per un momento di relativo benessere, segnato però dall’instabilità e destinato, come il clima, a capovolgersi. I momenti vissuti sulle colline sopra Torino, pure animati di speranza, preludono a una situazione che si farà sempre più invivibile.
Con la cattura di Cate e ancor più con la sparizione del bambino, ogni ottimismo crolla definitivamente, lasciando a quell’inquietudine presente sin dall’inizio la possibilità di fluire incontrastata, di portare Corrado a rinchiudersi ancor più nella propria solitudine, rivalutando quanto era avvenuto sino a quel momento. Per il protagonista ogni mossa in cui non aveva protetto se stesso diventa un atto irresponsabile, quasi da rimpiangere.
Si crea così un solco invalicabile e definitivo fra “chi arrischia, chi agisce davvero”, che inevitabilmente “non ci pensa” e un Corrado fin troppo consapevole dei propri pensieri e della sua personale e egoistica necessità: “chiedevo un letargo, un anestetico, una certezza di essere ben nascosto. Non chiedevo la pace del mondo, chiedevo la mia”. Si esplicita qui un atteggiamento della scrittura di Pavese messo in luce da Guglielmi, l’ambizione della sua poetica a una conciliazione: «a un rasserenamento della memoria nella ragione e a una salvezza della ragione attraverso la memoria»1. Ma una simile conciliazione rimane impossibile e ogni intervento attivo in un mondo devastato dalla guerra non può essere contemporaneamente osservato con consapevolezza e portato avanti.
L’unico movimento ormai possibile per Corrado, dopo aver fatto capolino al di fuori della propria solitudine, è la fuga: verso la terra di origine, l’oblio, il tentativo di accantonare anche le domande insolvibili della guerra, il fastidio e la vergogna.
I fatti storici citati, dai bombardamenti su Torino all’inizio della Resistenza, sono lo sfondo necessario alle vicende del protagonista, ma, per via della sua decisione di assecondare la propria paura, vengono quasi messi da parte. La scrittura di Cesare Pavese «insieme narrativa e lirico-drammatica»2 ha l’abilità di creare, anche attraverso un’esperienza personale calata in un paesaggio contrassegnato da elementi locali, il simbolo di un dramma esistenziale destinato a risultare più profondo persino della situazione storica contingente.
1 G. Guglielmi, "Tradizione del romanzo e romanzo sperimentale" in Manuale di Letteratura Italiana. Storia per generi e problemi vol. IV a cura di F. Brioschi e C. Di Girolamo, Bollati Boringhieri, Torino 1993-1996.
2 Ivi.