Analisi e Commento
“Accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe stare meglio” è l'istinto che muove i personaggi del primo romanzo verghiano, I Malavoglia. In una famiglia comune e depositaria dei più genuini valori tradizionali, si innesca un meccanismo che non avrà più un punto di ritorno: è l'esplicita volontà di migliorare la propria condizione sociale, il desiderio del salto, dell'ascesa, sentimenti e ambizioni, in un mondo come quello che ci descrive Verga, inevitabilmente delusi.
Verga, con I Malavoglia, apre il suo Ciclo dei Vinti, progetto di cinque romanzi mediante il quale si era proposto di delineare quell'affannata “lotta per la vita” che coinvolge il mondo e seleziona, sulla scia delle teorie darwiniste, i più adatti a sviluppare strategie di vita sufficienti alla sopravvivenza, lotta che lascia scampo a pochi e quei pochi sopravvissuti non potranno comunque superare un esiguo limite di miglioramento (lo si vedrà in Mastro Don Gesualdo, riuscito nell'intento di arricchirsi ma poi destinato alla solitudine più assoluta).
È così che si possono osservare, sulla scena di una Sicilia appena successiva all'unificazione italiana, personaggi sostanzialmente simmetrici e rigorosamente scissi in due gruppi: il mondo tradizionale e vero, legato ai valori dell'onestà e del lavoro (di cui è parte la famiglia Malavoglia) e il mondo arrivista e spregiudicato, orientato completamente al tornaconto economico (di cui è rappresentante l'intera società cittadina, con poche eccezioni).
La famiglia Malavoglia, sotto la guida dell'autorevole nonno 'Ntoni, rappresentante di un mondo che sta per conoscere il suo inevitabile declino (proprio perché autenticamente puro), è protagonista di una serie di sventure che la condurranno da possidente di una casa, la casa del Nespolo, e di una barca, la Provvidenza, grazie alle quali riescono a condurre una vita modesta, a nullatenente, costretta a “vivere alla giornata” per la sopravvivenza. Tutto nasce proprio da quell'ingenua volontà di migliorarsi che l'autore considera la vera causa di ogni distruzione, ingannatrice dell'animo umano nel fomentarlo con promesse di grandezza e poi autentica illusione, vista in tutta la sua dissacrante nudità.
È questa la visione fortemente disincantata di Verga e il suo rifiuto verso quella che definisce la “fiumana del progresso”, responsabile di un'evoluzione inarrestabile che va a soppiantare quanto resta di un mondo di valori saldi e rigorosamente sani. Di fronte ad uno scenario del genere, infatti, la mossa vincente è proprio la stabilità di Padron 'Ntoni e la sua fatica giornaliera tesa a preservare il passato, opposta al riscatto dalla propria condizione, ciò che caratterizzerà invece 'Ntoni, nipote e figlio ribelle che, una volta tagliato il filo con il mondo del suo passato e delle sue tradizioni, non potrà più tornare indietro. Se poi, da un punto di vista di “lieto fine”, tutto l'ordine sarà ricomposto, mediante la riacquisizione (per opera di Alessi, ultimo nipote rimasto) dei patrimoni appartenenti alla famiglia e della casa, dunque, primo elemento unificatore, ciò non accadrà sul piano dell'integrazione, del libero ritorno lasciato a chi segue l'emancipazione e si lancia a capofitto in quella sezione di mondo che non sarà mai la sua.
In opposizione ad un'emergente volontà di esibizionismo, che comincia a caratterizzare la seconda metà dell'Ottocento, Verga si fa narratore nascosto, accogliendo l'esplicito invito di una voce autorevole come quella di De Sanctis: “Il motto di un'arte seria è questo: poco parlare di noi e far molto parlare le cose, sunt lacrimae rerum. Dateci le lacrime delle cose e risparmiateci le vostre.”
Sarà così, allora, che l'opera di Verga dovrà sembrare “essersi fatta da sé” (come lui stesso dichiara in una lettera a Salvatore Farina), con una mano dell'artista “assolutamente invisibile” per cui il lettore non dovrà mai comprendere il romanzo “attraverso la lente dello scrittore” ma si troverà di fronte al fatto reale e crudo, come se lo stesse vivendo in prima persona. È assente anche ogni forma di giudizio da parte dell'autore perché, nel pensiero verghiano, contrariamente alla corrente naturalista francese e a Zola in particolare, nessun contributo umano (e specificamente letterario) può modificare la realtà.
Il verismo di Verga è, difatti, fortemente permeato di pessimismo e decade anche qualsiasi forma di narratore onnisciente: il narratore è perfettamente tutt'uno con i personaggi e ne sa sempre quanto loro. Non esiste alcuna mediazione e ciò si evince fin dalle prime pagine del romanzo: si è introdotti da subito in medias res, attraverso una finestra che si apre su una stretta strada di paese e percepisce solo un caos chiassoso. È soltanto dopo, nell'addentrarsi della storia, che tutto si fa chiaro e il lettore diventa parte di quel mondo, come se gli fosse appartenuto da sempre.
argh… ricordi scolastici! 😛