Introduzione
La roba è una delle più celebri novelle di Giovanni Verga, che la pubblicò prima sulla rivista La rassegna settimanale (1880) e poi la incluse nelle Novelle rusticane del 1883, di cui, tra i dodici racconti totali, è quello tematicamente più significativo. Tutta la raccolta, infatti, concepita nel pieno del passaggio al Verismo da parte di Verga, è incentrata intorno all’importanza dei beni materiali, “la roba” appunto, nel panorama socio-economico della Sicilia post-risorgimentale, in cui si stava tardivamente sviluppando una prima società industriale dopo l’unificazione d’Italia. Mazzarò, protagonista della novella, è come i maggiori eroi verghiani un parvenu, un contadino arricchito, legato avidamente alle sue ricchezze senza aver tuttavia l’oculatezza e la furbizia per gestirle in maniera saggia.
Trama
La roba è una delle più celebri novelle di Giovanni Verga, che la pubblicò prima sulla rivista La rassegna settimanale (1880) e poi la incluse nelle Novelle rusticane del 1883, di cui, tra i dodici racconti totali, è quello tematicamente più significativo. Tutta la raccolta, infatti, concepita nel pieno del passaggio al Verismo da parte di Verga, è incentrata intorno all’importanza dei beni materiali, “la roba” appunto, nel panorama socio-economico della Sicilia post-risorgimentale, in cui si stava tardivamente sviluppando una prima società industriale dopo l’unificazione d’Italia. Mazzarò, protagonista della novella, è come i maggiori eroi verghiani un parvenu, un contadino arricchito, legato avidamente alle sue ricchezze senza aver tuttavia l’oculatezza e la furbizia per gestirle in maniera saggia.
Personaggi
- Mazzarò: protagonista assoluto del racconto così come la “roba” che lo ossessiona. Mazzarò è il simbolo di una classe sociale, quella rurale della Sicilia ottocentesca, che si ritrova ad affrontare un cambiamento epocale improvviso senza avere i mezzi intellettuali e culturali per sostenerlo serenamente. Benché abbia compiuto una grandissima ascesa, Mazzarò infatti continua a vivere esattamente come faceva prima per paura di poter perdere quanto faticosamente guadagnato. La sua trasformazione è stata perciò sterile, tanto da essere resa inutile al momento della morte.
Temi principali
Nella sua brevità, La roba vuole fotografare utilizzando la storia di Mazzarò la Sicilia, regione natale dell’autore, nelle dinamiche socio-economiche in cui è stata coinvolta dopo l’annessione al Regno d’Italia. Regione legata alla civiltà rurale e non ancora toccata dall’industrializzazione che aveva invece già profondamente trasformato il nord-Italia, la Sicilia stava sperimentando in quegli anni un repentino passaggio verso lo sviluppo economico. Erano in molti quindi i Mazzarò che Verga voleva rappresentare con estremo realismo. I membri delle classi sociali più basse, come i contadini, i pescatori o gli operai, stavano riuscendo ad accumulare ricchezze ma stavano ancora assimilando i meccanismi adatti a gestirle, rimanendo identici a se stessi anche dopo aver attraversato un profondo cambiamento, come accade agli eroi dei grandi romanzi verghiani del Ciclo dei Vinti, I malavoglia e Mastro-don Gesualdo, scritti dall’autore nello stesso periodo.
Riassunto
La roba si apre con un celebre incipit, esempio classico della narrazione impersonale prefigurata da Verga per il suo verismo, in cui la parola viene ceduta ironicamente a un anonimo viaggiatore che osserva il paesaggio siciliano e inizia a domandare in giro a chi appartengano tutti quei terreni ricevendo una risposta unanime da parte di ogni paesano incontrato: “di chi sono quelle terre? “– “Di Mazzarò.” E allora che il viaggiatore riferisce le proprie impressioni sulle risposte della gente, portando la narrazione alla descrizione fisica e caratteriale del protagonista che dà avvio alla narrazione:
Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia. Invece egli era un omiciattolo, diceva il lettighiere, che non gli avreste dato un baiocco, a vederlo; e di grasso non aveva altro che la pancia, e non si sapeva come facesse a riempirla, perché non mangiava altro che due soldi di pane; e sì ch’era ricco come un maiale; ma aveva la testa ch’era un brillante, quell’uomo.
Come si può vedere dalla descrizione, Mazzarò è un uomo che, nonostante l’immensa ricchezza accumulata, continua a vivere esattamente come quando faceva il bracciante. Uomo di intelligenza fine e grande forza di volontà, Mazzarò è privo di vizi e dedica la propria vita al lavoro senza curarsi minimamente di tutto quanto altro la vita possa offrirgli. Egli ha infatti sviluppato uno strano tipo di avidità: non è il denaro ad attrarlo, ma la “roba”, ossia i beni materiali, i terreni, i palazzi, gli oggetti e quant’altro. Ciò che non è roba non ha per lui la minima importanza ed egli sa che la sua ascesa sociale è dovuta alla sua indole per il lavoro e per il risparmio. Le cose cominciano per lui a mettersi male con l’avanzare dell’età: comincia a rendersi conto del fatto che tutta la sua “roba” sarebbe rimasta senza padrone. Ma Mazzarò è un uomo che negli anni ha rinunciato a ogni affetto personale e si è guadagnato, con la sua avidità, solo la paura o il disprezzo dei suoi dipendenti e dei suoi fittavoli. L’impossibilità di individuare un erede e la coscienza di non poter avere più tempo per contemplare le sue vigne, oliveti e terreni finiscono per rendere Mazzarò completamente pazzo. La novella si conclude con la follia del protagonista, che fugge sbraitando da casa, ormai in punto di morte, verso i suoi allevamenti, prendendo a bastonate i suoi animali e gridando disperato “roba mia, vientene con me.”
Analisi e Commento
La roba, così come le altre Novelle rusticane, è scritta da Verga nel pieno della sua fase Verista, in cui si concentra sulla narrazione realistica della vita e le condizioni del sud Italia e la Sicilia. Il racconto fu redatto nello stesso periodo dei Malavoglia e delle prime bozze di Mastro-don Gesualdo, che sarà pubblicato però otto anni dopo e di cui La roba è una sorta di precursore. La novella presenta perciò alcuni elementi comuni a entrambi i romanzi. Il primo è sicuramente quello della cosiddetta “narrazione popolare”, già sperimentata nei Malavoglia, attraverso la quale Verga riproduce, attraverso l’utilizzo di specifiche lessicali dialettali o appunto popolari, il punto di vista collettivo sulla natura del suo protagonista e le vicende narrate. Secondo l’ideale Verista di Verga, che si discosta proprio per questo motivo dal Naturalismo francese di Emile Zola, il narratore non è una controfigura dell’autore attraverso il quale questi esprime la propria visione del mondo.
Per ritrarre la realtà così com’è Verga ipotizza e sperimenta delle forme di narratore impersonale, che presenta i fatti senza commentarli né giudicarli, così che il punto di vista totale sia una somma dei punti di vista dei numerosi personaggi a cui è affidata la parola nel racconto. Nell’incipit di La roba troviamo appunto l’esemplificazione di una di queste tecniche, con dei brevi dialoghi tra un anonimo passante e la gente del luogo che egli visita, che poi attraverso il proprio punto di vista, sempre ironico e popolare, dà un ritratto del corpo, il carattere e la condizione sociale del protagonista.
Protagonista che, come Mastro-don Gesualdo, proviene da una classe sociale bassa e riesce grazie a furbizia e forza di volontà a emanciparsi dalla sua condizione iniziale e perseguire il proprio progetto di affermazione. La fine della salita però lo porta rapidamente alla discesa: egli non cambia mai stile di vita a causa della tremenda e ossessiva avidità e rimane vittima di sé stesso, finendo per rimanere attaccato da vecchio alle stesse fissazioni che aveva in gioventù e per disprezzare chiunque sia a lui inferiore di condizione. Secondo l’”ideale dell’ostrica”, tipico della scrittura verghiana di questo periodo, gli uomini che desiderano lasciare alle proprie spalle le proprie origini sono destinati a un misero fallimento: la chiave del successo è appunto quella dell’ostrica, che rimane saldamente attaccata al proprio scoglio durante le tempeste; solo chi riesce a restare fedele a ciò che è riesce ad acquisire vigore nelle fasi di cambiamento e rivoluzione.