Introduzione
La giara è una novella che Pirandello scrisse nel 1906 e pubblicò poi nel 1909 sulle pagine del Corriere della Sera. Dopo averne tratto una commedia in un unico atto nel 1916, lo scrittore decise di includerla nelle Novelle per un anno. la foltissima schiera di racconti che lo scrittore siciliano pubblicò a partire dal 1884 su diverse riviste e quotidiani. Le Novelle per un anno avrebbero dovuto contenere 24 libri da 15 novelle, il cui conto totale sarebbe quindi dovuto ammontare a 360 e coprire quasi tutti i giorni dell’anno solare, come proclamato dal titolo stesso. Pirandello ne pubblicò una prima parziale raccolta nel 1922, raccogliendo numerose novelle già date alle stampe negli anni precedenti.
L’accumulo di nuovi testi proseguì sino al giorno prima della morte dello scrittore, nel 1936. Il ciclo, proprio a causa della morte dell’autore, rimase perciò incompiuto e contò alla fine comunque l’importante numero di 246 racconti. La giara, in forma di commedia, ebbe nei decenni successivi numerosissime repliche e rielaborazioni, che ne fanno uno dei testi teatrali più rappresentativi dello scrittore agrigentino, premiato con il premio Nobel per la letteratura.
Trama
Il protagonista della Giara è don Lolò Zirafa, un proprietario terriero spilorcio e litigioso pronto a fare causa a chiunque in qualche modo danneggi i suoi possedimenti. Ordinata una grossa da giara da quattro once, viene a sapere che è spaccata esattamente a metà e invoca l’artigiano del paese Zi’ Dima a ripararla. Questi, inventore di un prestigioso mastice, rimane intrappolato nella giara perché don Lolò insiste per fargli applicare dei punti di rafforzamento dall’artigiano giudicati inutili. Tra i due scoppia una contesa poiché, per far uscire Zi’ Dima la giara dovrà essere rotta e, mentre Lolò vorrebbe che fosse ripagata, Zi’Dima insiste per essere la vittima delle pretese dell’avaro proprietario terriero. Quando l’artigiano decide di restare nella giara e organizza una festa con i contadini del luogo, Lolò va su tutte le furie e spinge la giara giù per una scarpata, rompendola e concedendo “la vittoria” al conciabrocche.
Temi principali
La problematica principale trattata da Pirandello in La giara è l’impossibilità di stabilire la ragione e il torto. Viene creata infatti una situazione paradossale, generata dalla testardaggine dei due protagonisti, per cui l’uno si trova a essere contemporaneamente creditore e debitore dell’altro. La situazione di stallo, simbolicamente rappresentata dalla spaccatura a metà della grande conca di raccolta dell’olio, non viene sbloccata da nessuno, nemmeno dal parere legale dell’avvocato. Come spesso accade in Pirandello, la realtà è infatti un oggetto sfuggente, soggetto a molteplici punti di vista tutti legittimi, che può essere colta e regolata solo parzialmente dalla legge.
Riassunto
Don Lolò Zirafa, come viene immediatamente presentato, ha tanto attaccamento alla sua roba che sta finendo, a seguito delle cause che continua a intentare, per consumare la propria intera fortuna, inimicandosi chiunque lo circondi a partire dall’avvocato che tormenta almeno due o tre volte a settimana per avere consulenze legali.
Per la raccolta dell’ulivo, ordina una grossa giara da quattro once che viene consegnata con una spaccatura che la divide esattamente a metà e viene incitato dai contadini suoi dipendenti a chiedere l’intervento del conciabrocche del paese, Zi’ Dima Licasi, inventore di un mastice dalle virtù prodigiose. Recatosi sul posto, l’artigiano afferma di poter riparare completamente il grosso recipiente, ma don Lolò insiste perché vi applichi anche dei punti in fil di ferro. Offeso dalla sfiducia nel suo mastice, Zi’ Dima è costretto ad acconsentire, ma proprio nell’applicare dall’interno i punti per cui il committente aveva insistito, finisce per restare intrappolato nella giara, che avrebbe dovuto essere rotta per sempre per poterlo trarre d’impiccio.
Don Lolò, sopraggiunto sul luogo, acconsente alla rottura del grosso vaso, ma si reca immediatamente dall’avvocato per capire come potrà richiedere i danni a Zi’ Dima. Il responso del legale è però ambiguo: se non romperà la giara potrà essere accusato di sequestro di persona; se la romperà potrà farsi ripagare per il valore che la giara avrà una volta riparata, ossia nemmeno un terzo del denaro utilizzato per pagarla.
Il proprietario terriero torna alla giara per contrattare con Zì Dima, che però si rifiuta categoricamente di pagare per uscire dalla giara in cui è rimasto intrappolato a causa degli ordini inutili del padrone. Afferma, piuttosto, di voler rimanere lì dentro, dove si trova “meglio che a casa propria”. In attesa di ulteriori sviluppi e infuriato, don Lolò torna a casa, deciso a intentare causa l’indomani, ma viene svegliato nella notte dai canti e balli dei contadini, invitati da Zi’Dima e accorsi per una festa intorno alla giara. Furioso per l’impudenza del conciabrocche, don Lolò si scaglia contro la giara e la fa rotolare su una discesa contro un albero, rompendola in mille pezzi. Zi’ Dima può perciò uscire ed avere la meglio sul proprietario terriero, che finisce per ritrovarsi con nulla in mano contro di lui.
Analisi e Commento
La giara è un testo che Pirandello trae dalle tematiche tipiche di Giovanni Verga e rielabora però secondo una concezione del mondo totalmente rinnovata e novecentesca. L’avidità di don Lolò è una eco di quella di Mazzarò, il protagonista della novella La roba di Verga, ma viene rappresentata come un’ossessione per le cause giudiziarie. Il protagonista, insomma, non è solo taccagno, ma anche estremamente testardo e ossessionato dal voler aver sempre ragione. Alla sua cocciutaggine fa da esatto contrappeso quella di Zi’ Dima, artigiano che diffida di ogni cosa tranne che delle virtù prodigiose del mastice di sua invenzione, che promuove ed esalta in ogni occasione. La diatriba tra i due, così maldisposti verso l’altro e estremamente legati al proprio punto di vista sulle cose, culmina in un litigio espresso dalla doppia battuta:
[don Lolò] Delle due l’una: o il tuo mastice serve a qualche cosa, o non serve a nulla: se non serve a nulla, tu sei un imbroglione; se serve a qualche cosa, la giara, così com’è, deve avere il suo prezzo. Che prezzo? Stimala tu.
Zi’ Dima rimase un pezzo a riflettere, poi disse:
– Rispondo. Se lei me l’avesse fatta conciare col mastice solo, com’io volevo, io, prima di tutto, non mi troverei qua dentro, e la giara avrebbe su per giù lo stesso prezzo di prima. Così sconciata con questi puntacci, che ho dovuto darle per forza di qua dentro, che prezzo potrà avere? Un terzo di quanto valeva, sì e no.
Si viene perciò a creare una situazione paradossale e grottesca, tipicamente pirandelliana, per cui entrambi i personaggi hanno contemporaneamente ragione e torto e sarebbero obbligati legalmente a risarcire l’altro e nello stesso momento ad esserne risarciti. Si tratta di uno stallo che per Pirandello è una chiave simbolica da utilizzare come metafora della propria concezione delle cose e della realtà, che è sempre un oggetto mai completamente determinabile e frutto dell’incrocio dei punti di vista, spesso irrazionali e contraddittori, di ogni individuo.
Dal punto di vista strutturale e stilistico, il racconto è narrato da un narratore onnisciente che esprime spesso un punto di vista ironico sui personaggi e la loro testardaggine, lasciando tuttavia spesso loro direttamente la parola attraverso l’utilizzo di ampie sezioni di discorso diretto, preludio alla trasformazione in commedia che l’autore avrebbe compiuto qualche anno dopo la prima pubblicazione in prosa. L’assenza di narratore nel testo teatrale porta alla raffigurazione espressiva della pluralità dei punti di vista, riportati esclusivamente attraverso le parole e i gesti dei personaggi interpretati dagli attori senza il filtro della visione dell’autore.