Introduzione
Mastro-don Gesualdo è il secondo romanzo, l’unico completato assieme ai Malavoglia, che Giovanni Verga scrisse per dar vita al Ciclo dei Vinti, un insieme di cinque romanzi che avrebbero dovuto raccontare il declino dell’antico mondo rurale con l’avvento della società industriale e della modernità. Il romanzo venne concepito da Verga subito dopo il primo del ciclo e occupò lo scrittore per ben 8 anni, venendo pubblicato a puntate nel 1888 e infine in volume tra il 1889 e il 1890. Il ciclo dei Vinti rappresentò per Verga il momento della vera e propria svolta verista, dopo la produzione scapigliata giovanile e gli esperimenti in racconti come Rosso Malpelo, e traeva ispirazione dagli epocali cambiamenti sociali in atto nell’Italia post-risorgimentale dopo l’unificazione nazionale e la seconda rivoluzione industriale, che sconvolse la struttura politica del meridione e della Sicilia, regione natia di Giovanni Verga.
Il Verismo, di cui Verga fu il maggiore esponente, è stata una corrente letteraria ispirata dal Naturalismo dello scrittore francese Émile Zola, volta a rappresentare la società nei suoi aspetti più realistici e duri. Discostandosi dal modello francese, Verga elaborò il concetto di impersonalità del narratore, figura posta al di sopra degli eventi e estranea al giudizio sugli episodi e i personaggi. A differenza di quanto sperimentato con I Malavoglia, dove il narratore era realmente impersonale e talvolta ci si affidava alla cosiddetta “narrazione popolare” (ossia del popolo che assiste e commenta i fatti), in Mastro-don Gesualdo lo scrittore affida narrazione e punti di vista ai vari personaggi, creando così un mosaico di opinioni proveniente dalle varie classi sociali che ne rispecchia la lotta interna, tema principe del romanzo.
Trama
A seguito di un incendio nel palazzo della già decaduta famiglia dei Trao, nobile stirpe che risiede nel paese di Vizzini in Sicilia, la figlia più giovane viene data in moglie a Gesualdo Motta, un ex-muratore arricchitosi a tal punto da divenire il maggiore possidente del paese e ormai, con il matrimonio contratto, membro della nobiltà locale. Uomo fattosi da solo grazie alla fatica e all’occhio per gli affari, Mastro-don Gesualdo compirà una serie di scelte economiche che lo porteranno a diventare l’uomo più ricco e potente del luogo, ma lo condanneranno tanto al disprezzo della sua classe sociale di provenienza e di passaggio, il proletariato e la borghesia, quanto a quello del ceto di approdo, l’aristocrazia, che lo considererà sempre un bifolco arricchito.
Personaggi
- Mastro-don Gesualdo: personaggio designato già dal titolo e dall’appellativo che gli è riservato, nato, come spesso accade in Verga, dalla visione che gli altri membri della società hanno di lui. “Mastro” designa l’origine da muratore di Gesualdo e “Don” il grado nobiliare che questi finisce per acquisire accumulando ricchezze. Su Gesualdo e il misero finale che gli è riservato pesano le costanti scelte dovute all’ambizione e la volontà di riscatto sui padroni con l’arricchimento. Membro di una borghesia che, nei cambiamenti sociali dell’Ottocento, scalza la nobiltà dal ruolo di potere, finisce per ereditare il destino di chi per troppa avidità cade in una tragica spirale di decadenza.
- Bianca Trao: figlia più giovane della famiglia Trao che guarda con disprezzo un marito che non ama perché proveniente dalle classi popolari e perché costretta a sposarla a causa della rovina economica della propria famiglia. In tutto il romanzo resta fieramente dalla parte delle pretese della propria famiglia d’origine e isola il marito, pur finendo man mano per accumulare l’intero patrimonio proprio grazie alle abilità affaristiche di lui. L’unico cenno di intesa fra i due avviene, infatti, quando la donna in punto di morte si accorge delle mire dei suoi parenti sulle ricchezze generate dalla loro unione e del destino a cui la figlia Isabella va incontro dopo la relazione clandestina con Corrado e il matrimonio riparatore con il dissoluto Duca di Leyra.
- Isabella Trao: personaggio tutt’altro che secondario (tanto che avrebbe dovuto essere protagonista del romanzo successivo nella serie) e speculare a Mastro-don Gesualdo. Se questi, infatti, è un popolano che è riuscito a diventare nobile, Isabella è una nobile che ha parzialmente perso il proprio status e cerca in tutti i modi di rivendicarlo. Attratta dalle arti, altezzosa e spregiudicata, detesta le origini paterne e finisce per causare la rovina della famiglia unendosi a un nobile palermitano dal nome altisonante ma dalla pessima fama di dissipatore.
Temi principali
Incentrato sul conflitto tra classi sociali nell’epoca risorgimentale, Mastro-don Gesualdo vuole rappresentare, all’interno del Ciclo dei vinti, le dinamiche interne alla borghesia. Classe sociale emergente, che grazie alle ricchezze accumulate sostituisce l’aristocrazia nell’amministrazione del potere, è animata tuttavia da ideali differenti, volti al guadagno e al predominio economico.
Gesualdo Motta sfrutta la debolezza dei Trao per realizzare definitivamente il monopolio su Vizzini, riuscendoci, ma così facendo si colloca nel fuoco incrociato delle altre due forze sociali in conflitto tra loro. Se i nobili lo escludono perché non lo considerano mai uno di loro, i proletari finiscono per disprezzarlo e identificarlo, probabilmente a ragione, come traditore e nuovo padrone, in tutto e per tutto uguale ai vecchi che è riuscito miracolosamente a sostituire.
Riassunto
Mastro-don Gesualdo è diviso in quattro sezioni che rispecchiano la parabola di ascesa e caduta del protagonista. Nella prima sono raccontate le vicende che portano al matrimonio con Bianca Trao, ossia l’evento che rende a tutti gli effetti Mastro Gesualdo un Don, appellativo con cui venivano riconosciuti i nobili. La famiglia Trao, nel momento dell’incendio del proprio palazzo, è già vessata dai debiti e dal disonore: la figlia Bianca è stata infatti colta in fragrante in una relazione con il cugino Nini Rubiera, motivo per cui viene stabilito che essa debba andare in moglie a Gesualdo Motta, in quel momento uomo più ricco e facoltoso del paese dopo esser riuscito ad acquistare un gran numero di terreni con i frutti del proprio fiuto per gli affari. Già da questo momento, e anche dalle motivazioni a capo del matrimonio combinato, si capisce quanto i Trao ci tengano poco a far entrare Motta nella propria famiglia, considerandolo di fatto inferiore nel rango, nei modi e nell’eleganza.
La seconda sezione del romanzo racconta di come Gesualdo sia riuscito grazie al proprio merito a risalire la scala sociale e a impossessarsi man mano di tutti gli averi dei Trao. Desideroso di detenere il monopolio dei terreni del paese (e di vendicarsi del disprezzo della famiglia acquisita), Gesualdo rifiuta qualunque offerta di spartizione dei terreni comuni e riesce ad accaparrarsi infine tutto ciò che i Trao posseggono grazie all’ingenuità di Rubiera, che dissipa tutti gli averi familiari nel corteggiamento di un’attrice ed è costretto ad indebitarsi proprio con Gesualdo, il quale diventa ipotecario ed erede dell’intero patrimonio di famiglia.
Dal matrimonio con Bianca Trao nasce nel frattempo Isabella, personaggio sul quale è incentrata la terza sezione del romanzo, che narra il principio della rovina di Mastro-don Gesualdo. La ragazza, crescendo, rinnega le origini di suo padre e si sente a tutti gli effetti una Trao, coltivando fieramente la parte nobile della propria famiglia, che, dall’altro lato, non ricambia la sua inclinazione, sempre motivata dal disprezzo per l’ex-muratore. Una volta cresciuta, si innamora perdutamente del cugino Corrado, letterato e poetico, da cui finisce per avere una gravidanza, mal vista da Gesualdo perché porterebbe al ridimensionamento di condizione economica e sociale. Intervenendo sulla questione, il padre fa in modo che Corrado sia mandato in esilio e promette Isabella al Duca di Leyra, nobile palermitano famoso tuttavia per la facilità con cui sperpera il denaro. Si profila così la trama per il terzo romanzo del Ciclo dei Vinti, La duchessa di Leyra, che avrebbe dovuto avere per protagonista proprio Isabella e che tuttavia Verga non riuscì a completare.
Nella quarta sezione del romanzo si realizza infine il destino di emarginazione a cui il protagonista è condannato. Mentre nella casa dei Motta-Trao imperversa la tisi, che trascina sul letto di morte Bianca, la moglie di Gesualdo, i contadini in rivolta (siamo nel 1848) si impadroniscono dei terreni dell’ex-muratore, che ormai vedono alla stregua di tutti i ricchi e avidi possidenti della zona, che essi siano nobili e borghesi. Dopo aver incitato le rivolte contadine in una prima parte del romanzo, Gesualdo si trova attaccato da quegli stessi che aveva cercato di riscattare in passato. Come se non bastasse, si ammala di tumore allo stomaco. Portato a Palermo dal genero, il Duca di Leyra, si trova testimone di come il suo patrimonio stia venendo sperperato in inutili sfarzi e lussi e vive nel contatto forzato con la figlia, che continua a curarsi di lui più per formalità che per autentico amore filiale, mai nutrito a causa della condizione sociale d’origine del padre. Gesualdo morirà quindi solo, con le mani ancora sporche di calcina, macchia che denunciava il suo passato di muratore tra i nobili palermitani e provinciali, disprezzato ugualmente dalle classi popolari e con il genero che finirà per sperperare totalmente il patrimonio così gelosamente guadagnato con il lavoro e gli affari di tutta una vita.
Analisi e Commento
Nella struttura che Verga non riuscì a completare nel Ciclo dei vinti, i romanzi avrebbero dovuto analizzare partendo dal basso le maggiori parti sociali. Se I Malavoglia, primo romanzo del Ciclo, tratta infatti di una famiglia di pescatori, Mastro-don Gesualdo vede il suo protagonista leggermente innalzato nella scala e che anzi proprio della scala si ritrova vittima. Egli non riesce mai a eclissare completamente la sua origine, pur arrivando all’apice della ricchezza e del riconoscimento sociale: simbolo ne è la calcina che gli sporca le mani sino al giorno della morte.
La struttura del romanzo, con le quattro sezioni che ricalcano l’ascesa, il successo, la decadenza e la rovina del protagonista, vede un dualismo costante tra i Motta e i Trao, per estensione simbolo del conflitto tra borghesia e aristocrazia in atto nel Primo Ottocento, in cui le due famiglie pur essendo legate non riescono mai a convivere profondamente. Il peccato originale dell’abbandono della propria condizione di nascita colpisce anche i due personaggi femminili maggiori del racconto: Bianca e Isabella sono entrambe costrette a un matrimonio riparatore dopo una relazione clandestina e all’unione con uomini che, volenti o nolenti, finiscono per condurle alla rovina e la disperazione.
La giustificazione di questo intreccio trova radice nell’”ideale dell’ostrica” al centro del Verismo di Verga. Come le ostriche stanno fermamente attaccate al loro scoglio, secondo lo scrittore nessuno è capace di distaccarsi completamente dalle proprie origini e chi si ostina a farlo, come Gesualdo, è destinato inesorabilmente al fallimento e alla sconfitta. I “vinti” di Verga sono appunto personaggi che cercano di infilarsi nelle pieghe epocali della storia e finiscono per portarsi dietro la tara della propria condizione sociale di appartenenza. Il concetto coincide pienamente con gli ideali del Naturalismo di Zola, che, ispirato dall’evoluzionismo darwiniano, vedeva personaggi costantemente legati alla propria tara genetica e sociale, costretti in qualche modo a ripetere il destino dei loro antenati e condizionati da quanto il passato influisse sulla loro vita.
Fedelissimo al modello francese sui concetti tematici principali, Verga se ne discosta completamente dal punto di vista stilistico. Se ne I Malavoglia l’impersonalità dell’autore veniva realizzata attraverso l’accumulo dei punti di vista popolari (proverbi, nomignoli, massime ecc.), specchio della classe sociale esaminata nel romanzo, in Mastro-don Gesualdo, che ritrae il conflitto generale tra le maggiori classi, i profili dei personaggi sono delineati attraverso l’immagine che i membri delle fazioni opposte (aristocrazia, borghesia ma anche proletariato urbano e contadino) danno di loro. Ogni personaggio, perciò, è portatore, in base alla propria origine, di una propria visione del mondo così come di un lessico e di un registro collettivo e di classe. Nell’insieme delle narrazioni, che tralasciano gli eventi secondari e si concentrano di volta in volta su fatti distanti tra loro, si realizza il mosaico sociale, spesso e volentieri conflittuale, che il romanzo vuole tragicamente raffigurare.