Testo della poesia
1. La mia infanzia fu povera e beata
2. di pochi amici, di qualche animale;
3. con una zia benefica ed amata
4. come la madre, e in cielo Iddio immortale.
5. All’angelo custode era lasciata
6. sgombra, la notte, metà del guanciale;
7. ma più cara la sua forma ho sognata
8. dolo la prima dolcezza carnale.
9. Di risa irrefrenabili i compagni,
10. e a me di strano fervore argomento,
11. quando alla scuola i versi recitavo;
12. tra fischi, cori, animaleschi lagni,
13. ancor mi vedo in quella bolgia, e sento
14. solo un’ intima voce dirmi bravo
Parafrasi affiancata
1. La mia infanzia fu povera ma felice
2-3. in compagnia di pochi amici, di qualche animale domestico, con una zia benevola ed amata
4. così come mia madre, e con in cielo la protezione di Dio immortale.
5-6. Di notte lasciavo una metà del guanciale sgombra per il mio angelo custode (la balia);
7. ma ho sognato la sua forma più cara
8. colpevole della prima dolcezza carnale.
9-10. I miei compagni mi rendevano oggetto di risate irrefrenabili e di un bizzarro fervore
11. quando recitavo i miei versi a scuola;
12. tra fischi, cori e grugniti animaleschi,
13. mi vedo ancora in quella bolgia, e sento
14. solo la mia voce interiore a dirmi «bravo».
Parafrasi discorsiva
La mia infanzia fu povera ma felice, in compagnia di pochi amici, di qualche animale domestico, con una zia benevola ed amata, così come mia madre, e con in cielo la protezione di Dio immortale. Di notte lasciavo una metà del guanciale sgombra per il mio angelo custode; ma ho sognato la sua forma più cara (la balia) colpevole della prima dolcezza carnale. I miei compagni mi rendevano oggetto di risate irrefrenabili e di un bizzarro fervore quando recitavo i miei versi a scuola; tra fischi, cori e grugniti animaleschi, mi vedo ancora in quella bolgia, e sento solo la mia voce interiore a dirmi «bravo».
Figure Retoriche
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Ossimori
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Endiadi
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Allitterazioni
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Enjambements
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Metafore
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Similitudini
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Sineddoche
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Anastrofi
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Iperbato
- Rime vv.1-3-5-7: “beata”/ “amata”/”lasciata”/”sognata”; vv. 2-4-6-8:“animale”/”immortale”/”guanciale”/ ”carnale”: vv. 9-12: “compagni”/”lagni”; vv. 10-13: “argomento”/”sento”; vv. 11-14: “recitavo”/”bravo”;
Analisi e Commento
La mia infanzia fu povera e beata è un testo poetico contenuto nella sezione Autobiografia del Canzoniere di Saba. Nella raccolta Autobiografia, pubblicata per la prima volta nel 1924 sulla rivista “Primo Tempo” di Torino, il poeta si immerge nel proprio vissuto esistenziale ricavandone alcune tematiche (l’infanzia e la giovinezza, gli affetti, i momenti di crescita e di scoperta insieme agli episodi di vita quotidiana) che ritorneranno a più riprese anche nelle raccolte successive. Le poesie contenute in questa raccolta riflettono in modo evidente il grande interesse di Saba per la psicoanalisi, intorno alla quale condusse approfonditi studi, su Freud in particolare, e che adottò come strumento terapeutico per chiarificare e risolvere i propri traumi personali.
Ne La mia infanzia fu povera e beata il periodo dell’infanzia si configura sin dal titolo come un’età profondamente contraddittoria: l’ossimoro indica una compresenza di momenti di gioia (l’incessante scoperta del mondo, le emozioni intensissime, l’amore per la vita) e momenti di lacerante sofferenza. Dopo le scoperte di Freud non era infatti più possibile considerare l’infanzia semplicemente come un’età dell’innocenza; al contrario questa appariva sotto una luce misteriosa e perturbante in quanto fase dello sviluppo psichico nella quale hanno origine gran parte dei traumi irreversibili del Soggetto. Saba decide così di avvalersi della poesia come mezzo di autoconfessione, con l’intento di esorcizzare i fantasmi del proprio inconscio: la funzione liberatoria della poesia gli consente di rivelare la verità degli istinti che l’”uomo civile” censura o reprime nella vita di ogni giorno¹.
Nella prima strofa, introdotta dal verso dal quale la lirica prende il titolo, Saba descrive la propria infanzia tratteggiando attraverso poche figure fondamentali gli affetti che lo hanno accompagnato – non molti, ma di certo significativi. Oltre a un gruppo ristretto di amici e agli animali domestici, l’infanzia del poeta è segnata in modo indelebile da tre figure femminili, con le quali si sviluppa un rapporto tenero e problematico nel contempo. La prima figura femminile menzionata è la zia Regina, «benefica ed amata» tanto quanto la madre. Il paragone pone su un piano di assoluta uguaglianza due figure che dovrebbero rivestire funzioni differenti: questo è un primo sentore del rapporto tormentato fra il poeta e la madre Felicita Rachele Cohen, ebrea triestina che lo affidò a soli tre anni prima alle cure di una balia, poi della zia. Questa scelta, inseme al precoce abbandono della famiglia da parte del padre, generò un’evidente confusione di ruoli nello sviluppo emotivo del piccolo Umberto, nonché un trauma indelebile che sarà ripercorso più volte dalla sua poesia.
Nella seconda strofa Saba fa riferimento a un «angelo custode» al quale ogni notte era solito lasciare una metà del guanciale, per potergli dormire accanto. L’«angelo» assume però ben presto connotati ambigui e inquietanti: questo essere misterioso appare in sogno al poeta, ma si tratta di un sogno conturbante, per cui la «prima dolcezza carnale» è legata al «dolo», ovvero alla colpa. Questi versi ci inducono a identificare l’angelo custode con una terza figura femminile, quella della balia slovena Gioseffa Gabrovich Schobar, detta “Peppa” (conosciuta anche come “Peppa Sabaz”), la cui presenza aleggia in molte poesie di Saba². La balia, che nutre dolcezza e sincero affetto verso il bambino, innesca un’ulteriore frammentazione dell’archetipo materno: se la madre biologica di Saba è la «madre mesta», dal carattere aspro e dai modi repressivi, la balia è la «madre di gioia». Quando la madre lo strappò improvvisamente dalle cure della balia, il poeta ne subì un forte trauma che lo condusse anche in futuro a giudicare le donne amate secondo questi due modelli oppositivi.
Le due terzine finali affrontano un secondo trauma impresso nella memoria del poeta, quello del rapporto conflittuale con i compagni di scuola e degli atti di bullismo (spesso psicologico) che gli venivano inflitti per via di quella che appariva ai loro occhi come una “diversità”. Attraverso una struttura sintattica visibilmente complicata da iperbati e anastrofi, Saba ricorda i momenti umilianti durante i quali i compagni lo schernivano: spesso avveniva proprio quando il giovane poeta recitava le proprie poesie, colpevole di una spiccata sensibilità che non tutti erano in grado di comprendere. Così l’unica consolazione che gli resta è quella di ascoltare la propria voce interiore, l’unica a congratularsi con lui e a incitarlo affinché prosegua lungo l’intricato cammino della poesia.
Nel testo poetico La mia infanzia fu povera e beata Umberto Saba utilizza una forma metrica tradizionale, quella del sonetto di endecasillabi con schema ritmico ABAB ABAB CDE CDE, e un lessico piano, semplice e comunicativo, come è proprio della sua poesia. Più varia la sintassi, con l’alternanza di periodi più regolari e periodi più complessi, ottenuti mediante l’utilizzo di iperbati e anastrofi – anche questa una costante della cifra stilistica sabiana. La superficie relativamente semplice della lirica di Saba manifesta, in questo testo come in altri, una consistente stratificazione sotterranea, così come nell’infanzia di ciascun essere umano anche gli avvenimenti all’apparenza banali possono esercitare un duro impatto emotivo e influire per sempre sulle scelte dell’uomo adulto, alle prese con la complessità dei propri meccanismi psichici.
¹ Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978.
² Il riferimento va soprattutto al breve ciclo Tre poesie alla mia balia, ma il personaggio della balia è onnipresente nell’intera raccolta nella quale il ciclo è contenuto, Il piccolo Berto (1929-1931), e ci saranno delle sporadiche apparizioni anche in seguito.