Testo della poesia
1. S’eo tale fosse ch’io potesse stare,
2. senza riprender me, riprenditore,
3. credo fareb[b]i alcun o[m] amendare
4. certo, al mio pare[r], d’u[n] laido er[r]ore:
5. che, quando vuol la sua donna laudare,
6. le dice ched è bella come fiore,
7. e ch’è di gem[m]a over di stella pare,
8. e che ’n viso di grana ave colore.
9. Or tal è pregio per donna avanzare
10. ched a ragione mag[g]io è d’ogni cosa
11. che l’omo pote vedere o toc[c]are?
12. Che Natura [né] far pote né osa
13. fat[t]ura alcuna né mag[g]ior né pare,
14. for che d’alquanto l’om mag[g]ior si cosa.
Parafrasi affiancata
1. Se io fossi tale da potermi ergere
2. ad ammonitore [degli altri uomini], senza riprendere insieme anche me stesso,
3. credo che riuscirei a far pentire uno di questi uomini,
4. senza dubbio, a mio parere, di un terribile errore:
5. [questo errore è che], quando egli vuole lodare la sua donna,
6. le dice che è bella come un fiore,
7. e che pare simile ad pietra preziosa, oppure a una stella,
8. e che in viso ha [sulle gote] il colore rosso come di un melograno.
9. Tuttavia, la donna non è forse dotata di un tale valore che la fa eccedere
10. e a ragione la pone al di sopra di ogni altra cosa
11. che l’uomo può vedere o toccare?
12. Infatti, la Natura non può né osa fare
13. nessun altro elemento che sia superiore o pari [alla donna],
14. ad eccezione dell’uomo, che è a lei di poco superiore.
Parafrasi discorsiva
Se io fossi senza macchia, tanto da potermi ergere ad ammonitore [degli altri uomini], senza riprendere insieme anche me stesso, credo che riuscirei a far pentire (“amendare”) uno di questi uomini (ndr. il poeta Guido Guinizzelli), senza dubbio, a mio parere, di un terribile errore:
[questo errore è che], quando egli dice che vuole lodare la sua donna (ndr. Nel componimento Io voglio del ver la mia donna laudare), le dice che è bella come un fiore, e che pare simile ad una pietra preziosa, oppure a una stella, e che in viso ha [sulle gote] il colore rosso come di un melograno.
Tuttavia, la donna non è forse dotata di un tale valore che la fa eccellere e a ragione la pone al di sopra di ogni altra cosa di questo mondo terreno che l’uomo possa essere capace di contemplare o toccare?
Infatti, la Natura non può né tantomeno osa fare nessun altro essere che sia superiore o pari [alla donna], ad eccezione dell’uomo, che è a lei di poco superiore.
Figure Retoriche
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Anafore
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Analisi e Commento
Il sonetto S’eo tale fosse ch’io potesse stare di Guittone d’Arezzo appartiene alla prima fase della sua produzione poetica, anteriore al 1265, anno in cui egli abbandona l’esperienza poetica e amorosa giovanile per entrare nell’ordine dei frati gaudenti¹ e dedicarsi a componimenti a tema prettamente religioso o politico-culturale. Il sonetto in questione conduce, in chiave anti-guinizzeliana, una lunga critica ai paragoni tra la donna e gli elementi naturali, paragoni che costituiscono uno dei punti di forza della poetica innovativa di Guido Guinizzelli (il fondatore del Dolce Stinolvo).
Guittone fa riferimento al poeta bolognese Guinizzelli in maniera nascosta dietro il generico om alcun (e dietro alcuni velati richiami ad una sua poesia, Io voglio del ver la mia donna laudare, rilevabili sia in alcune scelte lessicali che nella rima in -are), mentre il suo laido (=terribile) errore è espresso a chiare lettere e consiste nell’equiparare la donna a ciò che le è ontologicamente inferiore. La critica è contenuta nelle quartine, che si costituiscono come pars destruens (cioè come parte del componimento atta a distruggere le posizioni dell’avversario), mentre le terzine si configurano come la pars costruens (momento in cui si passa invece ad esporre la tesi sostenuta), e motivano la condanna del terribile errore: fatta eccezione dell’uomo, che è a lei di poco superiore, la donna è l’essere posto più in alto nella gerarchia delle creature sensibili; perciò, porla allo stesso livello di altre fatture implica il sovvertimento dell’ordine voluto da Dio, che la Natura stessa non osa mai trasgredire.
Il poeta che osa giungere all’equiparazione tra la donna e le forme naturali è proprio Guido Guinizzelli: alla tradizionale celebrazione della bellezza muliebre, che vede la donna sempre superiore agli elementi del creato, egli sostituisce una nuova poetica, alla cui base sta anche una nuova visione filosofica, per cui la natura diviene termine di paragone alla pari rispetto alla donna. Per Guittone d’Arezzo, tutto ciò significa sminuire la donna stessa, svalutarla, porla allo stesso livello di esseri che Dio ha creato a lei ontologicamente inferiori.
In realtà, nella poesia italiana delle origini, e nella stessa produzione successiva guittoniana, esiste almeno un caso in cui la lode femminile si accompagna all’equiparazione con le forme naturali: è il caso della poesia sacra, ad esempio nelle laude mariane, in cui la Madonna è spesso accostata ad elementi del creato; in questo contesto, però, l’analogia ha il compito non certo di degradare la Madonna, ma di suggerire concetti astratti e realtà sovrasostanziali tramite paragoni concreti. Quando si tratta invece di celebrare una donna in carne ed ossa, il fatto di accostarle forme naturali equivale a sminuirla e declassarla nella gerarchia divina.
Il sonetto S’eo tale fosse ch’io potesse stare di Guittone ha tutti i caratteri per far pensare all’avvio di una tenzone (la risposta di Guinizzelli pare non esserci stata, o forse non ci è pervenuta), intorno al dibattuto tema della natura di amore. Esso è prova evidente dell’avversione di Guittone per i poeti della nuova generazione (Guinizzelli prima, Cavalcanti e Dante poi); la distanza tra queste diverse esperienze poetiche è sottolineata anche dalle scelte linguistiche: quelle di Guittone si caratterizzano per un forte sostrato aretino (per il quale Dante definisce la sua lingua “municipale”) su cui si innestano tratti provenzali; si tratta di caratteristiche lontanissime dall’esperienza stilnovistica, che si caratterizza al contrario per la ricerca di una lingua comune, fortemente selettiva dal punto di vista del lessico, dolce e piana dal punto di vista sintattico.
Note:
¹ L’ordine dei frati gaudenti era un ordine religioso fondato intorno all’anno 1260 a Bologna e sorto col fine di estendere il più possibile l’esperienza spirituale dei nuovi movimenti religiosi, soprattutto francescani e domenicani, alla massa dei laici. L’orine, riconosciuto da papa Urbano IV, ben presto degenerò; molti membri rivestirono cariche politiche, con una condotta poco ammirevole. Guittone entrò a far parte dell’ordine nel 1265.
Confronti
S’eo fosse tale ch’eo potesse stare è un componimento che si inserisce in una piccola tenzone avviata da Guinizzelli in O caro padre meo, de vostra laude e finita con questo sonetto, in quanto non si hanno notizie di ulteriori risposte da parte di Guinizzelli. La diatriba tra il vecchio Guittone e i poeti della nuova generazione (Guinizzelli prima, Cavalcanti e Dante poi) segnala l’ampia…
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