Testo della poesia
1. Il giorno fu pieno di lampi;
2. ma ora verranno le stelle,
3. le tacite stelle. Nei campi
4. c’è un breve gre gre di ranelle.
5. Le tremule foglie dei pioppi
6. trascorre una gioia leggiera.
7. Nel giorno, che lampi! che scoppi!
8. Che pace, la sera!
9. Si devono aprire le stelle
10. nel cielo sì tenero e vivo.
11. Là, presso le allegre ranelle,
12. singhiozza monotono un rivo.
13. Di tutto quel cupo tumulto,
14. di tutta quell’aspra bufera,
15. non resta che un dolce singulto
16. nell’umida sera.
17. È, quella infinita tempesta,
18. finita in un rivo canoro.
19. Dei fulmini fragili restano
20. cirri di porpora e d’oro.
21. O stanco dolore, riposa!
22. La nube nel giorno più nera
23. fu quella che vedo più rosa
24. nell’ultima sera.
25. Che voli di rondini intorno!
26. che gridi nell’aria serena!
27. La fame del povero giorno
28. prolunga la garrula cena.
29. La parte, sì piccola, i nidi
30. nel giorno non l’ebbero intera.
31. Nè io… e che voli, che gridi,
32. mia limpida sera!
33. Don… Don… E mi dicono, Dormi!
34. mi cantano, Dormi! sussurrano,
35. Dormi! bisbigliano, Dormi!
36. là, voci di tenebra azzurra…
37. Mi sembrano canti di culla,
38. che fanno ch’io torni com’era…
39. sentivo mia madre… poi nulla…
40. sul far della sera.
Parafrasi affiancata
1. La giornata è stata colpita da un temporale fitto di fulmini e tuoni,
2. ma adesso appariranno le stelle,
3. le stelle silenziose. Nei campi
4. ci sono rapidi gracidii di ranocchie.
5. Le foglie tremolanti dei pioppi
6. sono trapassate da una lieve gioia di piccole gocce.
7. Durante il giorno, che lampi! Che scoppi!
8. Che pace invece, la sera!
9. Le stelle sono in procinto di comparire
10. nel cielo così tenero e vitale.
11. Là, vicino alle allegre ranocchiette
12. un ruscello gorgoglia sempre uguale.
13. Di tutto quel fragoroso caos,
14. di tutta quella forte tempesta
15. non rimane che un dolce singhiozzo, una lieve traccia
16. nella sera umida.
17. Quella tempesta che sembrava inesauribile
18. è andata a spegnersi nelle note di un ruscello che scorre.
19. Dei fulmini di breve durata ora restano soltanto
20. nuvolette colorate di porpora e oro.
21. Cessa, dolore ormai stanco di essere tale!
22. La nuvola che di giorno (cioè durante la vita) mi sembrava più minacciosa,
23. è quella che ora mi appare più rosea
24. nell’ultima sera (cioè alla fine della vita)
25. Che svolazzare di rondini intorno!
26. Che versi nell’aria tranquilla!
27. La fame patita durante il giorno povero di cibo
29. rende più lunga la gioiosa cena.
29. La loro piccola razione di cibo i piccoli uccelli
30. durante il giorno non l’hanno avuta completamente.
31. E neppure io… e che svolazzare, che versi,
32. mia sera serena e luminosa!
33. Rintoccano le campane … e mi dicono di dormire,
34. mi cantano di dormire, mi sussurrano di dormire,
35. mi bisbigliano di dormire!
36. Là, in lontananza, alcune voci riempiono l’oscurità bluastra del paesaggio
37. mi ricordano i canti della mamma al suo bambino,
38. che mi fanno tornare com’ero da piccolo…
39. Sentivo la voce di mia madre… e poi più nulla…
40. al calare della sera.
Parafrasi discorsiva
La giornata è stata colpita da un temporale fitto di fulmini e tuoni, ma adesso appariranno le stelle, le stelle silenziose. Nei campi ci sono rapidi gracidii delle ranocchie. Le foglie tremolanti dei pioppi sono trapassate da una lieve gioia di piccole gocce.
Durante il giorno, che lampi! Che scoppi! Che pace invece, la sera!
Le stelle sono in procinto di comparire nel cielo così tenero e vitale. Là, vicino alle allegre ranocchiette, un ruscello gorgoglia sempre uguale. Di tutto quel fragoroso caos, di tutta quella forte tempesta non rimane che un dolce singhiozzo, una lieve traccia nella sera umida.
Quella tempesta che sembrava inesauribile è andata a spegnersi nelle note di un ruscello che scorre. Dei fulmini di breve durata ora restano soltanto nuvolette colorate di porpora e oro. Cessa, dolore ormai stanco di essere tale! La nuvola che di giorno (cioè durante la vita) mi sembrava più minacciosa, è quella che ora mi appare più rosea nell’ultima sera (cioè alla fine della vita). Che svolazzare di rondini intorno! Che versi nell’aria tranquilla! La fame patita durante il giorno povero di cibo rende più lunga la gioiosa cena. La loro piccola razione di cibo i piccoli uccelli durante il giorno non l’hanno avuta completamente. E neppure io… e che svolazzare, che versi, mia sera serena e luminosa!
Rintoccano le campane … e mi dicono di dormire, mi cantano di dormire, mi sussurrano di dormire, mi bisbigliano di dormire! Là, in lontananza, alcune voci riempiono l’oscurità bluastra del paesaggio… mi ricordano i canti della mamma al suo bambino, che mi fanno tornare com’ero da piccolo… Sentivo la voce di mia madre e poi più nulla al calare della sera.
Figure Retoriche
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Allitterazioni
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Analogie
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Analisi e Commento
I Canti di Castelvecchio si propongono di continuare il programma poetico iniziato con la precedente raccolta Myricae: alle immagini quotidiane della vita di campagna, si alternano continuamente i temi della tragedia famigliare e delle ossessioni segrete del poeta, come l’eros e la morte. La collocazione delle liriche all’interno della raccolta è attentamente studiata secondo un ordine che segue quello delle stagioni.
La poesia La mia sera presenta lunghe parti descrittive: durante la giornata il temporale ha imperversato con lampi e tuoni, mentre verso il tramonto il cielo è diventato sereno, ma, come sempre avviene in Pascoli, la descrizione non ha nulla di oggettivo, bensì è totalmente simbolica: la sera che porta serenità dopo una giornata di tempesta sta ad indicare gli anni della vecchiaia, quando si avvicina la fine della vita, come già sottolinea l’aggettivo possessivo “mia” nel titolo, che anticipa la soggettività del componimento, in cui i dati oggettivi arrivano ad assumere un significato esistenziale.
Nelle prime due strofe assistiamo all’estatica comunione del poeta con la natura, poi il riferimento alle vicende personali diventa via via più esplicito man mano che si prosegue nella lettura. In questo momento della “sera”, finiti gli affanni e le tragedie della vita, anche il peggior dolore si stempera nei dolci ricordi dei canti uditi da bambino. Poi giungerà il sonno, e con il sonno il “nulla”, la morte. Questa pace finalmente ritrovata dopo tanto patire, attraverso la consueta immagine del “nido”, rimanda alla sicurezza data dall’unità familiare e si configura come un ritorno all’infanzia e alle sue immagini rassicuranti, a cui nell’ultima strofa Pascoli si abbandona malinconicamente.
La mia sera si può dividere in due parti: la prima dal verso 1 al 20, che è volta a rappresentare la natura rasserenata, mentre la seconda è incentrata sulla simmetrica corrispondenza tra la vicenda del giorno, che si è quietamente concluso dopo la tempesta, e la vicenda biografica, con un’analisi sul significato dell’esistenza del poeta, il quale, giunto alla fase conclusiva della vita, prova un senso di pace e serenità («O stanco dolore, riposa!» si legge infatti nel v. 21). Tutta la natura appare profondamente umanizzata ed è considerata come un organismo vivo e capace di provare emozioni. Essa compare con i suoi suoni e rumori i quali, oltre a determinare una poesia particolarmente musicale (grazie a una fitta trama fonica di assonanze, onomatopee, consonanze e allitterazioni), si configurano come dei chiari segnali fonosimbolici che determinano l’identificazione tra le circostanze esterne e lo stato d’animo dell’io poetico.
Confronti
La mia sera contiene specifici riferimenti a precedenti componimenti e temi pascoliani, sempre espressi in chiave simbolica, già sviluppati dall’autore all’interno della sua prima raccolta, Myricae (1891). La paura della tempesta è trattata nel trittico di poesie…
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mi piace troppo questa poesia
Anche il termine “singhiozza” (v. 12) potrebbe essere parola onomatopeica?
il mio libro (LetterAutori della zanichelli) lo mette come onomatopea, quindi penso che singhiozzare possa essere, appunto, Un’onomatopea
Sicuramente è una fonte autorevole quindi approviamo. Grazie della segnalazione Stefano 😉
amo queta poesia
Un poema chi fa sognare