Testo della poesia
1. Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
2. fossimo presi per incantamento,
3. e messi in un vasel ch’ad ogni vento
4. per mare andasse al voler vostro e mio,
5. sì che fortuna od altro tempo rio
6. non ci potesse dare impedimento,
7. anzi, vivendo sempre in un talento,
8. di stare insieme crescesse ‘l disio.
9. E monna Vanna e monna Lagia poi
10. Con quella ch’è sul numer de le trenta
11. con noi ponesse il buono incantatore:
12. e quivi ragionar sempre d’amore,
13. e ciascuno di lor fosse contenta,
14. sì come i’ credo che saremmo noi.
Parafrasi affiancata
1. Guido, io vorrei che tu, Lapo ed io
2. fossimo catturati per magia
3. e messi su una piccola nave che ad ogni soffio di vento
4. andasse attraverso il mare, seguendo il mio ed il vostro desiderio,
5. in modo tale che una tempesta o un altro tipo di cattivo tempo
6. non ci potesse essere di ostacolo;
7. anzi, vivendo sempre con un solo, comune desiderio,
8. aumentasse la voglia di stare insieme.
9. E poi (io vorrei che) la signora Vanna e la signora Lagia
10. insieme a quella che è al numero trenta nell’elenco (delle donne più belle della città)
11. il buon mago (Merlino) mettesse insieme a noi:
12. e qui vorrei parlare sempre d’amore
13. e che ciascuna di loro fosse felice
14. come io credo che lo saremmo noi.
Parafrasi discorsiva
Guido, io vorrei che tu, Lapo ed io fossimo catturati per magia e messi su una piccola nave che ad ogni soffio di vento andasse attraverso il mare, seguendo il mio ed il vostro desiderio, in modo tale che una tempesta o un altro tipo di cattivo tempo non ci potesse essere di ostacolo; anzi, vivendo sempre con un solo, comune desiderio, aumentasse la voglia di stare insieme. E poi (io vorrei che) il buon mago (Merlino) mettesse insieme a noi la signora Vanna e la signora Lagia insieme a quella che è al numero trenta nell’elenco (delle donne più belle della città): e qui vorrei parlare sempre d’amore e che ciascuna di loro fosse felice come io credo che lo saremmo noi.
Figure Retoriche
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Apostrofi
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Adynaton
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Analisi e Commento
Il sonetto fa parte delle poesie giovanili di Dante, in cui il poeta sceglie come modello la lirica d’amore di tipo cortese; ma, se le prime poesie sono vicine al modello di Guittone d’Arezzo e ne imitano il linguaggio oscuro e gli artifici retorici, è proprio questo sonetto a segnare una svolta decisiva, poiché costituisce l’atto di nascita di quel movimento poetico che Dante stesso definirà “dolce stil novo”, caratterizzato da una lingua più schiva e delicata, più limpida e sensibile e da un’èlite di spiriti nobili, consapevoli della loro intelligenza, come dimostra il riferimento alla donna “ch’è nel numer de le trenta”, comprensibile solo ad una cerchia ristretta di letterati.
Il tema principale del sonetto è il desiderio, la descrizione di un sogno di vita cortese, completamente staccato dalla vita reale, per isolarsi dal contesto storico-sociale in una ricerca di levità fantastica: parole chiave della sfera del sogno, oltre a “vorrei” (v. 1), sono “talento” (v. 7) e “disio” (v. 8). Lo spazio e il tempo sono del tutto indeterminati, come dimostra altresì il ripetersi due volte (ai vv. 7 e 12) dell’avverbio “sempre”.
Il tema fondamentale delle quartine è l’amicizia con i due poeti stilnovisti Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, a cui Dante è legato da una grande comunanza di sentimenti; nelle terzine, invece, si introduce l’elemento principale che li accomuna, ovvero il “ragionar sempre d’amore” (v. 12), in un contesto esclusivo, fiabesco e rarefatto, tra spiriti eletti: si tratta, come abbiamo visto, di un tratto tipico della poesia stilnovistica. L’iniziale desiderio individuale di Dante, alla fine, si trasforma in un desiderio collettivo, che accomuna tutti e tre gli amici, in un crescendo del desiderio. L’ambito del magico e del meraviglioso (“incantamento”, v. 2; “vasel”, v. 3; “buono incantatore”, v. 11) richiama la lirica provenzale, già seguita nel genere stesso del componimento che si può definire un plazer, cioè un’enunciazione di realtà piacevoli. Infatti, secondo il critico G. Contini, il “vasel” sarebbe la nave incantata di mago Merlino (il “buono incantatore ” del v. 11), più volte menzionata nel ciclo arturiano.
Le parole-chiave del sonetto appartengono al campo semantico del desiderio, che può realizzarsi solo grazie alla magia, che consente di aggirare gli ostacoli posti dalla vita reale. Particolare rilievo assumono i polisindeti, che contribuiscono al ritmo trasognato dei versi, inducendo il lettore a soffermarsi sui singoli elementi desiderati più che sull’insieme. La struttura è circolare perché il poeta ritorna a parlare in prima persona nel primo (“vorrei”) e nell’ultimo verso (“credo”). Interessante è anche il ricorrere, in modo perfettamente speculare, del numero tre (tre sono gli amici e tre sono le donne amate), un numero emblema della perfezione e di grande valenza simbolica.
Confronti
La poesia Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io di Dante Alighieri è confrontabile con una serie di modelli medievali, ma non meno trova riscontri anche in altri luoghi dell’opera dantesca…
Domande di verifica sono spesso basate sui confronti tra diverse opere e autori.
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Uno dei sonetti che preferisco di Dante, oltre che per l’indubbia bravura stilistica,anche per quel background costituito dal tenero desiderio di fuga d’amore- con le rispettive donne- e d’amicizia. Il fatto che in seguito i rapporti con Cavalcanti si romperanno irreversibilmente, costituisce una sorta di prolissi malinconica a posteriori: è la visione di un desiderio genuino che sappiamo giá esser infranto. Molto triste,;-)
Un dato interessante che ho studiato e che in quest’analisi preziosa non mi pare di aver trovato, riguarda “la donna dei trenta”, la fantomatica donna-schermo di Dante, colei che avrebbe dovuto-nella concezione dello stesso Dante- sostituire e insieme inglobare l’assenza della vera Madonna Beatrice. Un saluto 😛
Caro Mattia,
hai fatto bene a sottolineare quella figura emblematica. Nel commento (nella parte iniziale) se ne accenna per mettere in luce il carattere elitario della poesia stilnovista.
Un caro saluto,
G.M.
Portando a spasso il cane, mi sono recitato mentalmente questo sonetto, poi, memore del fatto che al liceo ero incaricato di leggere le poesie, me lo sono recitato con la voce. L’ ho fatto ripetutamente, criticamente, modificando ritmi, tono, tempo di pronuncia di ogni sillaba finché sono riuscito a scoprire una musicalità che ritengo essere il lato più importante del sonetto. Per me rimane il brano più dolce del “Dolce stil novo” fino ai tempi nostri.
E’ un sonetto di squisita fattura che tratta con grande delicatezza e ‘nostalgia’ una tematica comune del tempo, l’amor cortese.
Me lo porto sempre con me in quanto , quando ero al liceo classico, l’ho musicato e, ogni tanto, lo ‘riascolto’ accompagnandomi con la chitarra acustica.
Ottimo commento.
Cordiali saluti.
Michele Castaldi
Una bellissima immagine Michele, ti ringrazio davvero tanto in prima persona d’averla condivisa.
Un caro saluto,
Giustino Mucci
Sono soddisfatto del vostro commento e vi ringrazio perchè mi avete dato l’ occasione di ritornare agli anni del Liceo. Andrea Penta